Le malattie cardiovascolari riconoscono un’eziologia multifattoriale, cioè più fattori di rischio (età, sesso, pressione arteriosa, abitudine al fumo di sigaretta, diabete, colesterolemia) contribuiscono contemporaneamente al loro sviluppo. I fattori di rischio sono caratteristiche che aumentano la probabilità di insorgenza della malattia. I fattori di rischio sono stati identificati ed è stata dimostrata la reversibilità del rischio, pertanto la malattia cardiovascolare è oggi prevenibile. È possibile dunque evitare di ammalarsi di infarto e di ictus.

Anche un corretto stile di vita aiuta a prevenire l’insorgenza delle malattie cardiovascolari.

I fattori di rischio

I fattori di rischio cardiovascolare si dividono in modificabili (attraverso cambiamenti dello stile di vita o mediante assunzione di farmaci) e non modificabili.

I fattori di rischio non modificabili sono:

I fattori di rischio modificabili sono:

Il Fumo:

L’abitudine al fumo (tabagismo) rappresenta uno dei più grandi problemi di sanità pubblica a livello mondiale ed è uno dei maggiori fattori di rischio nello sviluppo di patologie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il fumo di tabacco rappresenta la seconda causa di morte nel mondo e la principale causa di morte evitabile. L’OMS calcola che quasi 6 milioni di persone perdono la vita ogni anno per i danni da tabagismo, fra le vittime oltre 600.000 sono non fumatori esposti al fumo passivo. Si stima che siano attribuibili al fumo di tabacco in Italia dalle 70.000 alle 83.000 morti l’anno.

Il fumo non è responsabile solo del tumore del polmone, ma rappresenta anche il principale fattore di rischio per le malattie respiratorie non neoplastiche, fra cui la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) ed è uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare: un fumatore ha un rischio di mortalità, a causa di una coronaropatia, da 3 a 5 volte superiore rispetto a un non fumatore. Un individuo che fuma per tutta la vita ha il 50% di probabilità di morire per una patologia direttamente correlata al fumo e la sua vita potrebbe non superare un’età compresa tra i 45 e i 54 anni. In generale, va considerato che la qualità di vita del fumatore è seriamente compromessa, a causa della maggiore frequenza di patologie respiratorie (tosse, catarro, bronchiti ricorrenti, asma ecc.) e cardiache (ipertensione, ictus, infarto ecc.) che possono limitare le attività della vita quotidiana.

Sebbene molte persone riescano a smettere di fumare anche da sole, grazie a una forte motivazione e forza di volontà, molte altre hanno bisogno di un supporto specialistico, a causa della dipendenza, che può essere fisica, psicologica e comportamentale. Tali aspetti sono molto correlati tra loro e dipendono da fattori individuali, culturali e ambientali. Negli ultimi anni per aiutare le persone a smettere di fumare sono state rese disponibili terapie efficaci, sia farmacologiche che psicologiche.

Le terapie farmacologiche servono per contrastare la dipendenza fisica agendo sui sintomi dell’astinenza. I farmaci disponibili, di cui ne è stata provata l’efficacia, sono: i sostitutivi della nicotina in formato di cerotti, inalatori, gomme da masticare e compresse, antidepressivi e agonisti parziali della nicotina (vareniclina). L’intervento di tipo psicologico è basato sul counselling individuale e di gruppo. Il supporto psicologico ha la finalità di aiutare il paziente ad affrontare i temi legati alle motivazioni che lo spingono a fumare, ai costi e ai benefici dello smettere ecc.
Nell’ambito dell’intervento vengono indicate strategie comportamentali, al fine di superare situazioni di crisi e, in alcuni casi può essere fornito materiale di auto-aiuto, che il paziente può utilizzare come supporto a casa.

Ipertensione arteriosa sistemica:

A ogni contrazione cardiaca, il sangue ossigenato esce dal ventricolo sinistro attraverso la valvola aortica, passa nell’aorta, e si diffonde a tutte le arterie. La pressione arteriosa è la forza esercitata dal sangue contro la parete delle arterie, questa viene misurata in millimetri di mercurio.

Normalmente la misurazione della pressione arteriosa è effettuata a livello dell’arto superiore, usualmente al braccio e viene indicata da due numeri che indicano la pressione arteriosa sistolica o massima(dipendente dalla forza di contrazione del cuore e dall’elasticità delle arterie) e la diastolica o minima (che dipende dalle resistenze che il sangue incontra)

Quando i valori di sistolica e/o di diastolica superano i 140 (per la massima) o i 90 (per la minima), si parla di ipertensione.

A soffrire di ipertensione si stima che siano circa 15 milioni di italiani, purtroppo solo la metà di questi ne è consapevole. Controllare regolarmente la pressione arteriosa e mantenerla a livelli raccomandati attraverso l’adozione di uno stile di vita sano e assumendo specifiche terapie laddove necessario, è fondamentale, poiché questa condizione rappresenta uno dei fattori di rischio più importante per l’ictus, per l’infarto del miocardio, gli aneurismi, le arteriopatie periferiche e l’insufficienza renale cronica.

Il valore della pressione arteriosa dipende in massima parte dalla adozione degli stili di vita fin dalla giovane età: un’alimentazione corretta povera di sale e ricca di frutta e verdura, uno stile di vita attivo ed evitare il fumo di sigaretta sono tutti aspetti che aiutano a mantenere la pressione arteriosa a livelli favorevoli nel corso della vita. Nel 90-95% dei casi l’ipertensione arteriosa non ha una causa evidente; questa forma viene dunque indicata come ‘ipertensione essenziale’. In una minoranza dei casi invece (5-10%) l’ipertensione è causata da un’altra condizione medica rappresentata in genere una malattia del sistema endocrino (es. feocromocitoma) o dei reni (es. restringimento di un’arteria renale) o ancora può essere secondaria all’assunzione di farmaci. In questi casi si parla di ‘ipertensione secondaria’.

Nella maggior parte dei casi la pressione arteriosa elevata non dà sintomi; per questo l’ipertensione viene indicata come il ‘killer silenzioso’. In genere viene scoperta in occasione di un controllo dal medico o in farmacia. In caso di rialzo importante dei valori pressori (crisi ipertensiva, valori > 180/110 mmHg) può comparire una cefalea violenta, nausea, vomito, alterazioni della vista (restringimento del campo visivo, ‘lucine’ scintillanti, ecc), vertigini e ronzii alle orecchie (acufeni) o ancora un’importante epistassi (emorragia dal naso).

Senza aspettare che il “killer silenzioso” dia segno di sé, è importante misurare la pressione arteriosa, a partire dai 20 anni, regolarmente, soprattutto se si hanno i genitori ipertesi. Esistono una serie di apparecchi che consentono di misurare la pressione con facilità, a casa propria. Per le persone ipertese i valori pressori rilevati a casa sono molto importanti perché danno informazioni aggiuntive rispetto a quelli misurati nello studio del medico, che possono risultare elevati per una reazione d’allarme (è la cosiddetta ipertensione ‘da camice bianco’). Esistono inoltre esami poco invasivi atti a misurare i valori pressori per 24 ore, attraverso il cosiddetto Holter pressorio. Il medico, nel valutare una persona affetta da ipertensione arteriosa, può richiedere alcuni esami per valutare la presenza di altri fattori di rischio (es. colesterolo elevato, diabete), di possibili cause di ipertensione secondaria o di danno d’organo da ipertensione (ecodoppler arterioso dei vasi del collo, elettrocardiogramma, esami di funzionalità renale, dosaggi ormonali, ecc).

L’apparecchio col quale si misura la pressione è lo sfigmomanometro. Per misurare bene la pressione, è necessario mettersi seduti comodamente, in un ambiente tranquillo con l’avambraccio ben appoggiato (ad esempio su un tavolo) e il braccio all’altezza del cuore; prima dell’applicazione del bracciale è necessario rimuovere tutti gli indumenti che costringono il braccio. La pressione arteriosa può essere rilevata indifferentemente al braccio destro o sinistro; a volte però possono esserci differenze tra un braccio e l’altro; in questo caso bisogna misurare la pressione dal braccio dove risulta più elevata.

Scopo del trattamento dell’ipertensione arteriosa non è solo quello di abbassare i valori pressori, per riportarli nei limiti della norma (cioè al di sotto di 140/90 mmHg), ma anche di proteggere gli organi che soffrono dell’ipertensione causando il cosiddetto danno d’organo, primo fra tutti il cuore stesso. Ridurre la pressione arteriosa di appena 5 mmHg, consente di abbattere il rischio di ictus del 34%, quello di infarto del 21% e permette di ridurre il rischio di sviluppare scompenso cardiaco, fibrillazione atriale e di morire per cause cardio-vascolari. Sarà cura del medico scegliere la terapia farmacologica più idonea per il paziente, sulla base dei fattori di rischio o della presenza del danno d’organo. Per la terapia farmacologica sono disponibili diverse classi di farmaci: diuretici, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ACE inibitori, sartani, alfa-bloccanti.

Diabete mellito tipo II:

L’insulina è un ormone prodotto dalle cellule del pancreas, che consente l’ingresso del glucosio circolante (derivato dalla digestione del cibo) all’interno delle cellule, dove viene utilizzato come fonte di energia. Se il pancreas non produce una quantità sufficiente di insulina o se gli organi bersaglio (muscolo, fegato, tessuto adiposo) non rispondono in maniera adeguata all’ormone, il corpo non è più in grado di utilizzare il glucosio circolante come fonte di energia causandone accumulo nel sangue, dove i suoi livelli diventano sempre più alti (iperglicemia).

Nella maggior parte dei casi di diabete di tipo 2 sono presenti in misura combinata questi difetti: insufficiente produzione di insulina da parte del pancreas (deficit parziale di insulina) e inadeguata risposta all’insulina (insulino-resistenza).

I danni causati dall’eccesso di glucosio circolante sono svariati e riguardano molti organi e apparati, in particolare sono interessati il sistema cardio-vascolare, il sistema nervoso centrale e periferico, i reni e gli occhi.

Il diabete di tipo 2 si presenta in genere in età adulta anche se negli ultimi anni, un numero crescente di casi viene diagnosticato in età adolescenziale, fatto questo correlabile ad aumento dell’obesità infantile. Gli italiani affetti da diabete di tipo 2 sono il 5,5% della popolazione, cioè oltre 3 milioni; si stima che a questo numero possano aggiungersi 1 milione di persone, che non sanno di avere questa malattia.

La maggior parte dei casi di diabete di tipo 2 possono essere riconducibili all’obesità e alla vita sedentaria. E’ ormai ampiamente dimostrato che un eccesso di cellule adipose sia causa di incrementata resistenza all’azione dell’insulina.

Una serie di geni possono favorire la comparsa di diabete; per questo le persone con diabete tipo 2 hanno spesso parenti di primo grado (genitori, fratelli) affetti dalla stessa malattia.

Altre condizioni che aumentano il rischio di sviluppare il diabete sono: dieta a elevato contenuto di grassi, fumo di sigaretta, eccessivo consumo di alcol, sedentarietà.

La malattia rimane silente per parecchio tempo e i sintomi si sviluppano in modo più graduale e lieve e quindi sono più difficili da identificare. Possiamo riscontrare: sete intensa e frequente bisogno di urinare, aumento dell’appetito, perdita di zuccheri nelle urine (glicosuria), senso di affaticamento e vista sfocata, aumento delle infezioni genito-urinarie (cistiti ecc.). Nei casi più gravi può manifestarsi con sintomatologia molto seria con perdita di coscienza o alterazioni della percezione della realtà.

Il diabete può dare diverse complicanze quali: malattie cardiovascolari (angina, infarto, ictus, arteriosclerosi a livello delle arterie delle gambe), danno nervoso periferico (formicolii, dolori a carattere urente, riduzione della sensibilità alle dita dei piedi), danno renale (riduzione progressiva della funzionalità renale fino alla perdita completa di funzione che rende necessario il ricorso alla dialisi (o al trapianto renale), complicanze oculari ( perdita progressiva della vista, fino alla cecità).

Il rischio di sviluppare queste complicanze, che possono essere gravemente invalidanti o addirittura mortali, può essere sicuramente ridotto mantenendo costantemente un buon controllo della glicemia e di altri fattori di rischio, quali l’ipertensione e il colesterolo alto.

La diagnosi di diabete si è molto semplice. Il test basilare è la misurazione della glicemia al mattino dopo almeno 8 ore di digiuno (valori uguali o superiori a 126 mg/dl sono considerati diabete), Altri esami spesso eseguiti sono il dosaggio dell’emoglobina glicata o HbA1c (dà una valutazione media della glicemia degli ultimi 2-3 mesi e se superiore a 6,5% può indicare la presenza di diabete) e il test da carico orale di glucosio (una glicemia a distanza di 2 ore dall’assunzione di una bevanda contenente 75 grammi di glucosio uguale o superiore a 200 mg/dl, indica la presenza di diabete).

Obiettivo della terapia del diabete è riportare la glicemia a valori normali (70-130 mg/dl a digiuno, inferiore a 180 mg/dl a due ore dal pasto).

Nel trattamento del diabete tipo 2 un ruolo fondamentale spetta alla dieta e all’attività fisica. Per quanto riguarda la dieta la scelta dovrebbe cadere sugli alimenti a basso indice glicemico; da questo punto di vista la pasta è meglio del pane, il riso è invece un alimento a elevato indice glicemico. La frutta va consumata ma senza esagerare, essendo una fonte non solo di vitamine, sali minerali e fibre, ma anche di carboidrati. Il consumo di dolci e dessert va limitato a piccole porzioni e ad occasioni particolari. Da evitare le bevande zuccherate e i soft drink.

Un’attività fisica regolare è raccomandata per la persona con diabete e dovrebbe essere modesta all’inizio e poi aumentata gradualmente, rispettando le capacità della persona. Quando la correzione degli stili di vita non basta a controllare il diabete, è necessario ricorrere alle terapie farmacologiche che possono essere sotto forma di compresse (farmaci antidiabetici orali) o di farmaci iniettivi, somministrabili per iniezione sottocutanea (insulina).

Obesità:

L’obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, condizione che determina gravi danni alla salute. E’ causata nella maggior parte dei casi da stili di vita scorretti: da una parte, un’alimentazione scorretta ipercalorica e dall’altra un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica. L’obesità è quindi una condizione ampiamente prevenibile.

L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito sia perché è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori.

L’indice di massa corporea (body mass index BMI) è il valore per definire le condizioni di sovrappeso-obesità più ampiamente utilizzato: si calcola semplicemente dividendo il peso (espresso in Kg) per il quadrato dell’altezza (espressa in metri).

Le definizioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sono:

  • sovrappeso = IMC da uguale o superiore a 25 fino a 29,99
  • obesità = IMC uguale o superiore a 30.

Secondo i dati raccolti nel 2010 dal sistema di sorveglianza Passi, in Italia il 32% degli adulti è sovrappeso, mentre l’11% è obeso. In totale, oltre quattro adulti su dieci (42%) sono cioè in eccesso ponderale in Italia.

L’obesità e il sovrappeso sono causati nella maggior parte dei casi da uno squilibrio tra apporto e consumo energetico. Oggi si consumano cibi più ricchi di calorie (per lo più da zuccheri e grassi) rispetto al passato e ci si muove sempre meno, per le tante ore trascorse seduti al lavoro o a scuola, per la mancanza di spazi dove fare attività fisica soprattutto nelle grandi città, per un aumento del tempo trascorso davanti alla televisione, al computer o ai giochi elettronici. Più raramente l’obesità è causata da condizioni genetiche, da malattie endocrine o da un cattivo funzionamento della tiroide.

Avere molti chili di troppo comporta una serie di conseguenze a breve e a medio- lungo termine.

Nella vita di tutti i giorni l’individuo obeso è sicuramente meno tollerante allo sforzo presenterà quindi affanno, anche compiendo attività fisica di bassa intensità, è quasi sempre presente un metabolismo rallentato, presentano molto spesso sudorazione profusa, disturbi del sonno e russa mento; problemi alle articolazioni sono all’ordine del giorno (dolori alla schiena, alle ginocchia e alle anche).

A lungo termine l’obesità comporta un aumentato rischio di sviluppare ipertensione arteriosa, e quindi accidenti cardio-vascolari, diabete di tipo 2 e tumori. Obesità e sovrappeso sono condizioni associate ad elevata mortalità e rappresentano un importante fattore di rischio per le principali malattie croniche: malattie cardiovascolari (in particolare infarto e ictus), ipertensione, diabete mellito di tipo 2, alcune forme di tumori.

Il trattamento dell’obesità consiste nella riduzione del peso corporeo, da effettuarsi sotto stretto controllo medico, seguendo un’alimentazione corretta ed effettuando un regolare programma di attività fisica, adeguato alle proprie possibilità e nel successivo mantenimento di un peso adeguato alla propria altezza. Può essere d’aiuto in alcuni casi, ricorrere ad un supporto psicologico.

La dieta per la riduzione del peso deve essere personalizzata; in linea generale deve comprendere frutta e verdura; cereali (pane e pasta) con moderazione e preferibilmente integrali, privilegiare carne e pesce, come principali fonti di proteine.

Andranno invece evitati sale e zucchero aggiunti a cibi e bevande, i cibi troppo ricchi di sale (es. insaccati) e di grassi e zuccheri (merendine, patatine fritte, cibi dei fast food e di rosticceria/pizzerie ecc), i soft drink e le bevande alcoliche.

L’attività fisica va iniziata in maniera graduale (soprattutto per i più sedentari), cominciando con 10-15 minuti di attività aerobica (camminata a passo veloce, nuoto, tennis, tapis roulant, ballo, ecc) e aumentando gradualmente, fino a raggiungere almeno i 30 minuti al giorno, 5 giorni a settimana. Sarebbe utile prendere qualche piccolo accorgimento per contribuire a mantenere un livello adeguato di attività fisica come fare le scale evitando di prendere l’ascensore o coprire i brevi tragitti camminando al posto di utilizzare l’auto.

Stili di vita corretti

L’alimentazione, l’attività fisica e l’astensione dal fumo, hanno un ruolo fondamentale nella prevenzione di molte malattie, fra cui anche le malattie cardiovascolari.

Alimentazione corretta:

Un’alimentazione varia ed equilibrata è alla base di una vita in salute. Un’alimentazione inadeguata, infatti, oltre a incidere sul benessere psico-fisico, rappresenta uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza di numerose malattie croniche. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, circa 1/3 delle malattie cardiovascolari e dei tumori potrebbero essere evitati grazie a una equilibrata e sana alimentazione. L’organismo umano ha bisogno di tutti i tipi di nutrienti per funzionare correttamente. Alcuni sono essenziali a sopperire il bisogno di energia, e consentire il continuo ricambio di cellule e altri elementi del corpo, altri a rendere possibili i processi fisiologici, altri ancora hanno funzioni protettive nei confronti di malattie. Per questa ragione l’alimentazione deve essere quanto più possibile varia ed equilibrata.

Di cosa abbiamo bisogno?

Il fabbisogno di energia varia nel corso della vita ed è diverso tra uomini e donne, dipende: dall’attività fisica (persone che svolgono lavori “fisici” hanno un fabbisogno maggiore rispetto a quanti svolgono lavori da ufficio), dallo stile di vita (chi pratica regolarmente attività fisica necessita di maggior energia rispetto a quanti conducono una vita sedentaria), dalle caratteristiche individuali (la statura, la corporatura ecc.), dall’età.

Un’alimentazione sana fornisce all’organismo tutte le sostanze nutritive di cui necessita nella giusta proporzione.

I suggerimenti per mantenere una sana alimentazione sono ormai noti:

  • fare sempre una sana prima colazione,

  • variare spesso le scelte e non saltare i pasti,

  • consumare costantemente frutta e verdura,

  • ridurre quanto più possibile il consumo di sale privilegiando le spezie per insaporire i cibi,

  • limitare il consumo di dolci,

  • preferire l’acqua, almeno 1,5-2 litri al giorno limitando le bevande zuccherate,

  • ridurre il consumo di alcol,

  • non esagerare con i grassi da condimento ed è meglio preferire quelli di origine vegetale come l’olio extravergine d’oliva.